Gli anni della persecuzione antiebraica (parte prima)

 

                                                                        di  Franco Crosio e Bruno Ferrarotti

 

Nel momento in cui, come oggi, riemergono inquietanti esplosioni razziste (l’identificazione dei bambini «rom» attraverso le impronte digitali), noi crediamo che la conoscenza degli eventi e dei documenti della discriminazione e della persecuzione antiebraica, attuata dal regime fascista italiano nel 1938-1945, possa rappresentare l’approccio giusto (quando il rigore storiografico non è disgiunto dall’emozione e dalla tensione morale) per comprendere come una brutale politica antirazziale abbia decretato, per migliaia di italiani, la morte civile, la spoliazione dei beni, l’espulsione dalle scuole, dalle università, dai posti di lavoro. Se è vero che “nessuna storia saprà raccontare ciò che uomini e donne hanno vissuto quotidianamente con il conseguente peso di angoscia, di umiliazione e di miseria”, la memoria dell’antisemitismo fascista iniziato 70 anni fa deve costituire, soprattutto per le giovani generazioni, un elemento fondamentale nel percorso formativo alla tolleranza. Per capire bene cosa rappresentò il 1938 nella storia della legislazione razziale italiana e che effetto ebbe sulla convivenza civile del nostro Paese cominciamo col narrare un caso che, pur accomunato nell’unica, immane tragedia dell’olocausto (shoah), risulta anche emblematico per comprendere uno dei molteplici aspetti relativi alla «negazione della memoria».

C’è qualche tifoso di calcio che ricorda un allenatore ungherese chiamato Arpad Weisz? E’ probabile di no. Ebbene Arpad Weisz, nato nella cittadina ungherese di Solt il 16 aprile 1896, fu allenatore dell’Inter e del Bologna. Nella stagione 1929/30 vinse lo scudetto alla guida dell’Inter (allora si chiamava «Ambrosiana» per volere del regime fascista che non tollerava il nome «Internazionale») nella prima edizione a girone unico della serie A. All’Inter Weisz scoprì e lanciò in prima squadra un fuoriclasse diciassettenne, Giuseppe Meazza, che nell’anno dello scudetto divenne capocannoniere con 31 reti. Weisz fu il primo allenatore straniero a conquistare un tricolore nel massimo campionato di calcio oltre ad essere conosciuto come il tecnico coautore, con Aldo Molinari, dell’interessante manuale «Il giuoco del calcio» prefato da Vittorio Pozzo. Prima di approdare all’Inter nel 1925 (squadra in cui restò, eccetto la parentesi del 1926 con l’Alessandria, fino al 1931), allenò il Padova, quindi il Bari, poi il Novara per giungere infine a Bologna nel 1935. Con il Bologna conquista due scudetti consecutivi, nelle stagioni 1935/36 e 1936/37, e la coppa dell’Esposizione (la Champions League dell’epoca) nel 1937 battendo in finale il Chelsea. E’ ancora allenatore del Bologna quando, nel settembre 1938, il regime fascista approva uno dei primi provvedimenti antiebraici: il regio decreto legge 7 settembre 1938, n. 1381 «Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri». Arpad Weisz, ebreo, non avrà più scampo. Lui e la sua famiglia (la moglie Elena ed i figli Roberto e Clara) hanno l’obbligo di lasciare l’Italia entro sei mesi dal 7 settembre 1938, quindi non oltre il 6 marzo 1939. Il 26 ottobre 1938 l’allenatore del Bologna rassegnerà le dimissioni dopo cinque giornate di campionato. Inutile dire che le sue dimissioni furono accettate, con dosi progressive di accidia e opportunismo, dai dirigenti del Bologna, senza alcuna protesta dei tifosi felsinei e, men che meno (non fosse altro che per solidarietà con l’allenatore dello scudetto), di quelli interisti. Nel mese di dicembre 1938 la famiglia Weisz lascia definitivamente l’Italia e ripara dapprima a Parigi per poi trasferirsi in una città dell’Olanda, Dordrecht, dove, per un po’ di tempo, Arpad allenerà la locale squadra di calcio. In seguito all’occupazione tedesca dei Paesi Bassi i Weisz sono braccati e deportati nei campi di sterminio dove troveranno la morte: la moglie Elena (34 anni), i figli Roberto (12 anni) e Clara (8 anni) ad Auschwitz II-Birkenau il 5 ottobre 1942; Arpad (48 anni) ad Auschwitz I il 31 gennaio 1944. [La vita di Arpad Weisz è raccolta in un libro di Matteo Marani dal titolo «Dallo scudetto ad Auschwitz», Aliberti editore, 2007].

Nell’autunno 1938 gli «ebrei effettivi» presenti in Italia (che conta una popolazione complessiva di quasi 43 milioni di abitanti) risultano, disaggregando i dati del censimento speciale razzista del 22 agosto 1938, 46.656 di cui 37.241 italiani e 9.415 stranieri.

Con il 1938 la politica razzista del regime fascista (i cui prodromi risalgono all’espansionismo coloniale, 1935-1936, in Eritrea, Somalia ed Etiopia con le prime disposizioni sulla superiorità e la separazione della razza) inizia a tradursi in un «corpus» normativo impressionante, secondo solo alla Germania nazista, per la quantità e la gravità di leggi e disposizioni varie promulgate al solo scopo di organizzare la persecuzione antiebraica. Fra il 1938 ed il 1945 si contano almeno quaranta provvedimenti legislativi fondamentali affiancati dall’emanazione, da parte dell’apparato burocratico statale, di un numero considerevole di circolari esplicative che, a volte (poche), attenuano ma il più delle volte aggravano gli effetti delle misure legislative quando non si sostituiscono addirittura ad esse, innovando ed ampliando il regime persecutorio. Ad esempio, fu una circolare a disporre il 9 agosto 1938 il divieto di nomina degli insegnanti ebrei nelle scuole elementari e medie (divieto poi confermato dalla legge); come fu una circolare (anzi una «ordinanza di polizia»: la n. 5 del 30 novembre 1943) a disporre per tutti gli ebrei la destinazione ai campi di concentramento ed il sequestro immediato dei beni; anche l’imposizione  alle scuole della rivista «La Difesa della Razza» (diretta da Telesio Interlandi con Giorgio Almirante segretario di redazione) avvenne con una circolare (n. 34, 6 agosto 1938) attraverso la quale si spiegava “che il movimento razzista messo dal Duce all’ordine del giorno della Nazione” doveva “essere diffuso nella scuola di primo grado [perché], coi mezzi acconci alla mentalità dell’infanzia, si creerà il clima adatto alla formazione d’una prima, embrionale coscienza razzista”; la circolare n. 33 del 30 settembre 1938 sancì invece il “divieto di adozione nelle scuole di libri di testo di autori di razza ebraica”; mentre il “divieto agli appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati, di esplicare qualsiasi attività nel settore dello spettacolo” fu deciso con la circolare della Direzione generale per la demografia e la razza («Demorazza») n.1549/24 del 18 giugno 1940.

A proposito delle linee generali relative alla legislazione antiebraica occorre ricordare come esse prendano avvio e vengano poi consolidate attraverso due documenti che si ritengono entrambi ispirati direttamente dal Duce Benito Mussolini: il primo è il «manifesto della razza» (altrimenti noto come «manifesto degli scienziati razzisti») pubblicato, nella sua prima versione, il 15 luglio 1938 dal «Giornale d’Italia» sotto il titolo «Il Fascismo e i problemi della razza»; il secondo è la «Dichiarazione sulla razza» approvato dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938. A quel punto il «pogrom» antiebraico italiano non ebbe più limiti: provvedimenti di espulsione dagli impieghi pubblici e dalla scuola di ogni ordine e grado, di limitazione del diritto di proprietà, espulsione dall’esercito, dal comparto dello spettacolo, dal mondo culturale, sostanziale espulsione dalle libere professioni, progressiva limitazione delle attività commerciali, degli impieghi presso ditte private, della iscrizione nelle liste di collocamento al lavoro, divieto di accesso alle biblioteche di Stato, divieto di detenere apparecchi radio-riceventi, negazione del rilascio o rinnovo di concessioni di riserva di caccia, impossibilità di essere amministratori di case o condomini, ecc…

Al censimento del 1938 gli ebrei dell’allora provincia di Vercelli risultavano essere 325: terza comunità del Piemonte dopo Torino ed Alessandria. Con il dispiegarsi della legislazione razziale il numero degli ebrei in provincia calerà sensibilmente: al 20 aprile 1939 era composta di 229 persone di cui 225 italiane e 4 straniere.

L’antisemitismo di Stato è naturalmente sostenuto dalla stampa fascista vercellese ed in particolare da «La Provincia di Vercelli, Foglio d’ordine della Federazione dei Fasci di Combattimento di Vercelli» che ammonisce pubblicamente quei “giornali – come La Sesia – che non sono quali li vorremmo” perchè tardano a “dimostrare coscienza razzista”. In effetti in un pezzo redazionale del 13 settembre 1938, intitolato: «politica di razza, numero e qualità», il bisettimanale di Pierino Gallardi non assume drastiche posizioni antiebraiche, come avrebbe voluto il segretario del partito nazionale fascista Achille Starace, anche se, col passare del tempo, accetterà interventi più duri come quello, scritto il 16 dicembre 1938, dall’insegnante trinese Dina Maddalena Tricerri (1907-1984). Che non userà mezzi termini: “Oggi di più che in passato la purezza della nostra razza è insidiata da influenze, da correnti avverse […]. Questa molteplicità, questa facilità di comunicazioni e di contatti con altre genti, può costituire un grave pericolo per la nostra stirpe […]. Colui che ci governa, con pensiero acuto e lungimirante non è rimasto insensibile e, come è sua abitudine, ha guardato coraggiosamente il pericolo in faccia e rapidamente ha preso i più opportuni provvedimenti per fronteggiarlo, per vincerlo […]. Il fatto reale è che nessuno vuole gli ebrei in casa propria, tanto meno gli Arabi, che lottano strenuamente in Palestina per non essere sopraffatti dall’onda giudaica […]. La Germania per la prima alcuni anni fa ne ha dato l’esempio con una serie di provvedimenti severi, drastici, che hanno risolto radicalmente colà il problema ebraico. Essi parvero da principio a noi Italiani, di animo generoso, troppo severi, ma presto dovemmo convincerci che anche noi dovevamo metterci per questa via…”.

(1. Continua)